sabato 21 dicembre 2013

"The End"

Finora l'unica traccia è stato un post sulla mia pagina facebook, il 16 di dicembre:

"Ieri sera ho mantenuto l'impegno che mi ero prefissata per questo anno, ovvero finire di scrivere la trilogia. Ora posso dire, anche se in cartaceo e ancora in "brutta" per così dire, di avere messo la parola "fine" ad un progetto che mi accompagna ormai da anni, e che meritava di vedere almeno la sua degna conclusione. Che altro dire se non... soddisfazioni!"

In sostanza: ho finito di scrivere la trilogia fantasy che ho in lavorazione da alcuni anni. Quando ho scritto quel post avevo appena finito di scriverla su carta, e pochi giorni dopo ho ricopiato e riveduto tutto al computer, quindi ora posso dire di avere davvero tutta la storia dalla prima all'ultima pagina. Quella che posso definire la mia prima vera fatica scrittorea è finita.
Sono felice? Devo dire che, sì, sono felice, anche se raggiungere questa meta è stata e resta una felicità molto silenziosa, quasi intima: anche se voglio condividerla con chi sa che cosa vuol dire per me scrivere, rimane ancora un traguardo di cui solo io posso godere e capire appieno la portata.
E ora? Ecco, è questa la domanda che mi spaventa.
Ho mantenuto un impegno con me stessa: finire qualcosa che doveva essere finito entro quest'anno. Sono fiera di averlo fatto, sono felice di avere concluso una storia, e ancora di più di essere -per la prima volta- davvero libera di poter andare avanti e scrivere anche altro. Altre storie! Altri libri da scrivere! Ma, naturalmente, bisogna pensare anche a cosa ne sarà di questi tre libri che ho già scritto.
Il computer che va e viene quando vuole mi ha tenuta un po' lontana da internet: e invece credo che sarà proprio internet la grande arma di diffusione per quello che ho in mente. I progetti sono ancora tanti e confusi, ma mi piacerebbe raggiungere un buon numero di persone, tra quelle che o mi seguono sul blog, o su facebook, o che hanno già letto le mie storie su siti di fanfiction e ora vorrebbero avere qualcosa di più.
Non ho un editore, non ho contatti con qualche casa editrice. Ci ho provato per un bel po', perché non è la prima volta che tento di fare vedere la luce ad un mio progetto, e in questo nuovo anno che arriva ci proverò ancora: ho un anno intero per vedere se questa sarà la volta buona con una casa editrice, o... o, se le finanze lo permetteranno, finanzierò i miei sogni di scrittura da sola, e questo vorrà dire autopubblicarmi e autopromuovermi. Posso farlo. Posso tentare. 
Ho una copertinista che ha già cominciato a dare vita ai personaggi coi suoi bellissimi disegni, e amici lettori a cui lascerò il compito di saggiare la prima stesura dei miei tentativi, e di bacchettarmi dove serve!
Riguardo al libro: che si può dire?
Posso dire che è una trilogia. Posso dire che è un racconto fantasy, quindi troverete gli elfi, i maghi, lo pseudo-medioevo e la magia: mettetevi il cuore in pace. È il mio omaggio ai libri high fantasy e ai giochi di ruolo dalle trame più intricate di qualsiasi libro, che mi hanno accompagnata fin dall'infanzia. Sono libri che ho scritto io: quindi se avete già letto qualcosa di quello che scrivo, o semplicemente se vi incuriosisce l'idea, non avete che da continuare a seguirmi e augurarvi insieme a me che l'anno nuovo porti buone novità. 

 

giovedì 7 novembre 2013

DRACULA della NBC

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Due parole sull'ultima serie tv che ho iniziato a guardare, ovvero Dracula, con Jonathan Rhys Meyers, che lascia ben pochi dubbi su quale sia la trama. Volevo vederlo per due motivi: perché o era una trashata unica, e quindi valeva la pena almeno averlo visto, o era qualcosa di bello, e quindi ne valeva ancora di più. 
Dopo la visione delle prime due puntate, ancora non so esattamente come classificarlo. Penso che continuerò a guardarlo, e questo già di per sè vuol dire molto: non è che abbia picchi particolari, anzi, se ci ripenso non riesco a ricordarmi neanche una scena o una trovata particolarmente incisiva. Però fa quel che deve: intrattiene. E sono curiosa di vedere se si evolverà o si appiattirà su se stesso.

La storia è quella canonica: anzi, forse è proprio questo il peccato. Spesso i remake fanno questo errore: dare per scontato che gli spettatori già conoscano la storia; e perciò questo è Dracula, questa è Mina, questo è Jonathan, la storia la sapete, pochi dubbi su quali saranno gli sviluppi. Bon.
E invece no: anche da un remake -soprattutto da un remake- a me interesserebbe davvero avere un po' di "dietrologia" sui personaggi, approfondirli un po' di più, dare loro vita e storie nuove. Vero è che è ancora presto per giudicare: di balzi di originalità, purtroppo, ce ne sono davvero pochi, se si esclude la novità almeno un po' interessante di Dracula e Van Helsing come alleati e soci in affari. Anche Renfield, per una volta, non è l'Igor della situazione, ma sembra piuttosto un Alfred Pennyworth grosso e nero al servizio di un Batman alternativo.
La trama sguazza tra l'investigativo e l'azione, con alcuni momenti tra lo steampunk e il fantasy messi piuttosto gratuitamente... anche le scene di combattimento in slow motion sono piuttosto pietose, nel complesso. Mentre, d'altra parte, molti momenti sono stati confezionati apposta per la gioia delle donzelle, e a noi mica dispiace.

Il nostro Dracula se la cava bene, e lo trovo un personaggio piacevole (e piacente): semplicemente, anche lui si limita ad essere quello che è, senza nessun balzo di originalità. È un personaggio affascinante, ma solo nel senso canonico del termine: ovvero il personaggio che è misterioso in privato, brillante in pubblico e abile con le donne. Non molto di più. Anche come vampiro si limita ad essere un buon vampiro e a prosciugare qualche gola ogni volta che può: non mi dispiace affatto vedere un po' di fiumi di sangue (perché, altrimenti, che gusto c'è?) ma, anche qui, nulla di nuovo.

Una nota sulle donne del cast: soprattutto nel loro caso ho avuto la spiacevole sensazione del "nuovo a tutti i costi" ma sempre e solo senza uscire dalle righe. Mina è stata resa un'appassionata studentessa di medicina, Lucy Westenra è la classica bionda frivola, e la new entry Lady Jane è la prevedibile donna fatale che caccia vampiri nel tempo libero. Non lo so: è come se l'unico tentativo di dare profondità ai personaggi femminili sia stato quello di attaccare a Mina un'etichetta con scritto "donna col cervello" e a Lady Jane "donna con le palle". C'è ancora tempo per migliorare, specialmente nel caso di Mina che, almeno potenzialmente, sembra davvero un personaggio da sviluppare... ma non so se sperarci davvero.
E si ripresenta sempre la stessa domanda: è davvero più difficile creare un personaggio femminile non stereotipato, o semplicemente siamo noi spettatori ad essere molto più intransigenti con le donne?

lunedì 23 settembre 2013

cronache modenesi

Appena finita una settimana da pendolare in quel di Modena, ovviamente inaugurata con un piede fresco di rottura e con un'inedita vescica sulla pianta! Due giorni dopo si rimedia con le scarpe nuove, e l'effetto è immediato: il dolore lancinante ai malleoli cancella completamente quello della vescica.
Ma, a parte questo, Modena! Con le sue viuzze tutte uguali, e così sicure della propria identità da non sentire alcun bisogno di un cartello che ne riveli il nome ai comuni passanti! Io e la città esordiamo fissandoci in cagnesco appena esco dalla stazione, e mostrandoci ripetutamente il medio ad ogni svolta.
Ma poi, dai e dai, la routine ha la medio sull'odio reciproco, e la scoperta di scorciatoie piacevoli come il parco ducale comincia a farmi riconciliare con il posto.
Il corso di catalogazione non è niente male: mi fa sentire tanta nostalgia della biblioteca, e dopo un bel po' di tempo è piacevole la sensazione che dà imparare qualcosa, la sensazione del lavoro ben fatto, di aver risolto un rompicapo. Con la quantità di bevande da macchinetta che ingurgito -per compensare il magro pranzo a base di panino che mangio regolarmente seduta in stazione- probabilmente finirò in overdose da zuccheri, ma pazienza...
Finora la stazione mi ha portato solo due spettacoli ragguardevoli: una mattina, a Parma, vedo salire su un treno un signore distinto dai tratti orientali, che trasporta un enorme scatola bucata bucata carica di... Piccioni. Piccioni parmensi doc, quelli grigiastri propensi ai frontali con i passanti, che puoi trovare in piazza. Decido di non farmi domande di cui non voglio sapere la risposta.
Invece, la stazione di Modena all'ora di pranzo ha un ospite caratteristico: io lo chiamo Il Profeta, e si tratta di un signore che si fa vedere sempre in giaccone e con un grosso ombrello aperto. Se ne sta sotto il suo ombrello e predica ai passanti che aspettano il bus, e non gli importa che lo ascoltino o meno. Di solito riesco a cogliere uno squarcio della sua omelia mentre passo al volo per prendere il treno: venerdì parlava di angeli, oggi di prostitute redente.
La prima volta che l'ho visto stava cantando a squarciagola. Ammetto che qualche volta mi verrebbe voglia di fermarmi e stare ad ascoltare l'intera predica solo per vedere dove va a parare.
Fare la pendolare non è male, quando devi farlo per meno di due settimane.

mercoledì 7 agosto 2013

Su una gamba sola

Ho un piede rotto e ingessato da dieci giorni. Lasciamo perdere il come e il quando, che è una sordida storia di gente chiusa fuori senza chiavi e di cancelli scavalcati...
È davvero triste che questo incidente mi sia capitato proprio adesso che anelavo soltanto ad un po' di indipendenza, cose da fare e tempo lontana da casa. Me la sono andata a cercare, e ora mi trovo in una condizione di limitazione e dipendenza maggiore di quanto abbia mai provato.
Sono almeno riuscita a fare metà delle cose che aveva in programma prima di farmi male, anche se devo comunque pagare lo scotto di un viaggio sfumato. Adesso invece, dovendomi muovere in casa con un piede ingessato e le stampelle, mi ritrovo a dipendere strettamente dagli altri, a dover sempre chiedere qualsiasi cosa, a dover fare la doccia seduta, a non poter fare neanche cose come sparecchiare la tavola o pulire camera mia, a dover tenere sempre le cose sottomano perché non posso raggiungerle, pensare prima a qualsiasi spostamento debba fare da un piano della casa all'altro. Sono cose a cui non si pensa mai veramente finché non ti ci ritrovi in mezzo. E meno male che, nel mio caso, si tratta solo di una condizione temporanea.
È una cosa che i primi giorni mi aveva lasciata molto abbattuta e, come un'automobilista, sempre, costantemente incazzata come una iena a spese di chiunque mi stava intorno. ^^
Il fatto è che non ci sono abituata. Nessuno c'è abituato, ma io di solito sono quella che non si ammala mai, e che non si fa mai male sul serio. Io me la cavo sempre da me. Ed è strano, molto strano, avere ogni tanto la prova tangibile che il tuo corpo non è a prova di bomba.
Finora mi sono evoluta: ho imparato a farmi le iniezioni da sola (Prossimo passo, autochirurgia! Ah ah. Magari no. No. Decisamente no.) e giro per casa in stampelle con marsupio e zainetto... e devo dire che finora me la sto cavando bene con certi stratagemmi.
Sto cercando di tirare fuori il meglio da una scomoda situazione, per come posso: mi spiace solo che mi sia stata negata un'esperienza di vita piacevole e me ne sia stata data invece in cambio una brutta. 
Ma si sopravvive, e si spera solo che questo agosto passi. Questo agosto in cui, grazie ad un gesso, mi trovo mio malgrado ancora più bloccata, immobilizzata e impantanata sotto ogni aspetto, e aggiungiamoci anche che intanto si boccheggia nel troppo caldo e nell'atmosfera di desolazione estiva che odio.
Eppure tutto sommato il buon umore è tornato, e riesce a restare.
E almeno, non potendo fare proprio altro, si scrive.

lunedì 22 luglio 2013

Inveleniamoci

Quello del promoter è un lavoro duro e ingrato, che spero vivamente di non dovermi mai trovare costretta a fare. Ma, detto questo, ci sono certi aspetti di cui si farebbe volentieri a meno. Non tanto per il lavoro in sè: in fondo, offrire cose per strada è almeno un po' più sopportabile dei venditori porta a porta.
La cosa veramente sconcertante è la Metamorfosi.
La potete osservare nel momento esatto in cui pronunciate con garbo la parola "no".
Perché questi promoter hanno tutte le loro pose e frasi da amiconi, da imbonitori, da anima della festa che ti guarda come se fossi il loro fratellino perduto: devono saperlo fare per lavoro. Ok. Lo sappiamo. E giù sorrisoni, e ti salutano, e vogliono sapere tutto di te, ti si piazzano con la manina sulla spalla in posa plastica. Ma nemmeno i promoter delle associazioni benefiche -che almeno di solito hanno la scusante di trovarsi lì per una giusta causa e non per venderti fuffa- scampano alla Metamorfosi.
Scena con un tizio di un'associazione benefica che mi abborda in mezzo ad un'affollatissima fiera del fumetto:
"bla bla bla raccogliamo offerte per i bambini sfortunati, e tu la faccia da cattiva mi sembra che non ce l'hai!"
Stessa scena con due ragazze, lo stesso giorno, talmente mielose e affettuose che finisci per sperare che ti chiedano i soldi e bon, così puoi dire di no e finirla lì.
E tu hai un bello spiegare con la massima gentilezza che non ti interessa, e che anche se si tratta di associazioni benefiche non dai soldi a chi ti ferma per strada. E sottolineo il "cortesemente", perché una delle mie tare è non riuscire proprio ad essere scortese nemmeno con chi mi importuna, neanche con lo sconosciuto che mi fa l'interrogatorio alla fermata del bus.
Di' le paroline magiche: "grazie, no" e vedrai la loro maschera di amiconi sgretolarsi. Si sfasciano un pezzo alla volta, e finisce che un attimo dopo ti puntano come faine. Gli si fa l'occhietto tutto stretto e la bocca rigida. Ti fissano come se fossi la progenie di Satana e loro il prete venuto ad esorcizzarti.
Il tipo di prima si fa tutto stizzoso, sbuffa, gira sui tacchi e in tono studiatamente scazzato mi grida alle spalle: "Seee, vabbè, e poi i soldi al bar ce li diamo!"
Le tizie carine carine sono anche peggio: di colpo via la manina dalla spalla, che adesso gli fa schifo starti vicino, e nasini arricciati come chi è sottovento dal pescivendolo. E anche loro tono scazzato come pochi, più tono supponente con tanto di vezzeggiativi pronunciati con disprezzo.
"Vabbè, allora, amore, ridammi la spilletta!" sbottato in direzione dell'amico a cui lei stessa aveva ficcato in mano la spilletta per attaccare bottone.
Ora mi chiedo: ma è una tattica anche quella? Ve la insegnano al tirocinio per promoter? Mi raccomando, carini carini all'inizio, ma se vi dicono di no trattateli come merde così si sentono in colpa?
Cari miei, ve lo dico io che se uno si sente insultato per strada da uno che non è stato neanche lui ad avvicinare per primo, non si sente in colpa. Si incazza. E fa bene. Perchè se tu cortesemente mi chiedi dei soldi, io cortesemente ti dico di no, e tu mi mandi a cagare, io mi sento un attimino autorizzata a ricambiarti il favore.
Così ora siamo nervosi e incazzati in due: non è fantastico?
Che poi, io mi sono quasi abituata a sentirmi mandare a cagare dagli sconosciuti: sono quasi convinta di aver colto un "fuck you lady" bisbigliato da un tizio convinto che non capissi l'inglese mentre scuotevo la testa davanti al biglietto con cui fingeva di chiedere informazioni e in realtà chiedeva soldi.
Ma se lo fai di mestiere è un'altra storia. Se rispondevo tutta incazzata ai clienti che venivano in cassa quando ero commessa, agli utenti della biblioteca che mi chiedevano i libri, ai turisti che accoglievo al castello, io ci rimettevo il lavoro. E lì ne vedevo parecchi, di veramente maleducati. Se ti metti ad insultare tra le righe la gente ogni volta che ti dice di no, bimbo bello, cambia lavoro.
O almeno siate chiari fin dall'inizio.
Piantatevi in mezzo alla strada con una faccia da assassini, l'occhio spiritato e la penna in mano, e urlate in faccia alla gente: "Lasciate una firma contro la droga, grandissimi figli di puttana!".
Così almeno siete coerenti.

venerdì 7 giugno 2013

Guilty Pleasures (ovvero "Eh, sì, leggo ANCHE questo...")

In passato mi ero chiesta spesso che cosa avrei scritto quando avessi finito la trilogia fantasy.
(In passato mi ero anche chiesta spesso: "Finirò mai la trilogia fantasy?"... Ora posso dire di essere alle ultime battute, ma il traguardo è lontano!)
Diciamo che per adesso le idee si affollano, ed è una buona cosa, perché ciò che ho sempre temuto è proprio di rimanere completamente a secco di idee. Comunque i progetti ci sono, e il primo della lista potrebbe essere una sorta di urban fantasy con i vampiri e parte del Mondo di Tenebra. (ludicamente parlando...) Sì, sono consapevole che di questi tempi ammettere di voler scrivere di vampiri può scatenare il lancio di uova marce (ne parlavo anche tempo fa), ma comincio a notare che il "fenomeno twilight" ormai va scemando sempre di più, quindi è probabile che il mercato saturato si calmi e che si possa ricominciare a scriverne, anche in sordina, senza scadere nel paranormal romance adolescenziale.
Comunque!
In verità non sono mai stata una grande lettrice di urban fantasy, e pochi di quelli che ho provato mi sono piaciuti davvero. Forse il vero problema di leggerli adesso è che l'unica versione "famosa" dell'urban fantasy è solo e unicamente il paranormal romance. Insomma, ti leggi una trama da romanzo rosa, però con le zanne/le ali/il pelo/la polvere di fata. Non è quello che cerco io: in qualunque genere di libro non mi piace quando la trama è subordinata alla romance. Purtroppo quasi tutti gli urban usciti dopo il duemila hanno avuto invece questo stampo.
Però ogni tanto si trova qualcosa.
Non qualcosa di particolarmente originale, niente lampi di genio né una scrittura formidabile... Semplicemente qualcosa di inaspettatamente piacevole da leggere.
E non è detto che sia privo di difetti: può avere dei passaggi drammaticamente stupidi, protagonisti che non sopporti, eppure per qualche motivo il pomeriggio lo passi -ancora una volta- a sfogliare proprio quel libro.

A me è successo recentemente con Dead Witch Walking di Kim Harrison (che mi rifiuto di chiamare Il bacio di mezzanotte come il titolo italiano...): un urban fantasy ambientato in un presente alternativo dove umani e soprannaturali convivono in seguito ad un'epidemia che ha decimato la popolazione umana portandola numericamente al pari con quella "fatata". Niente di post-apocalittico: streghe, folletti, lupi mannari, fate e vampiri convivono più o meno pacificamente con gli umani, con tutte le difficoltà di convivenza del caso. E questo è interessante.
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif4OpR6qbpVjzrACNCCQiQKPagPCAJ9n_IXf5MJj8_PaAkcKIfPVHB0Yse0DYTMb3kQlqX4MZwycHMt7z0WRlpnkRBA2QV7btErrXgTnjLGcsm5fW-CvB8yd4KOSAbeM4XQaL56LP67nw/s1600/dead+witch+walking+UK+2.jpg
 (che cosa arrogante che è la copertina americana!)
La protagonista è una strega, Rachel Morgan, che lavora per quella che praticamente è l'FBI dei soprannaturali. Ma solo per un capitolo: nel secondo ha già lasciato il suo lavoro, e di conseguenza precipita in un casino dietro l'altro.
Avevo letto questo libro qualche anno fa senza trovarci granché; l'ho riletto adesso e tutto sommato l'ho trovato piacevole e con delle idee potenzialmente interessanti. Il fatto è questo: i personaggi sono interessanti. Ti incuriosiscono e alla fine ti importa di loro. Rachel non è una protagonista cretina, anche se spesso e volentieri ci si comporta, e un po' troppe volte esce da situazioni impossibili grazie ad una "insperata fortuna" o al fin eccessivo rispetto che le portano i suoi rivali. Se ogni tanto finisse pestata come un tamburo sarebbe più credibile, e anche più divertente.
Anche i vampiri non sono niente male, anzi, ci sono dei pezzi dedicati a loro che finiscono per essere davvero divertenti: peccato solo che nel libro ci sia una sovrappopolazione di vampiri a scapito di tutto il resto del mondo soprannaturale. Quando vedremo qualche altra strega? Un po' di folletti o fate in più? Qualche troll? Perfino la protagonista flirta unicamente coi vampiri, e in maniera piuttosto ripetitiva: praticamente ne spunta uno ogni angolo.
Non saprei dire esattamente cos'ha questo libro che non funziona, e cosa al contrario funziona. Forse sono le buone idee, che però spesso vengono usate male. Le cose importanti, come il background storico, vengono riassunte all'occorrenza in spiegoni. Ci sono tante scene d'azione, peccato che il più delle volte finivo perfino per dimenticarmi completamente "perché" i personaggi stessero facendo irruzione in un posto, o cosa stessero cercando, o come ci fossero arrivati. Nel primo libro, oltretutto, abbiamo il cattivo modello Fascinoso Uomo d'Affari: sebbene Rachel sia decisamente in contrasto con lui, immancabilmente si cade di tanto in tanto nella competizione/attrazione, e in un momento in cui Rachel è letteralmente imprigionata nel suo ufficio si permette una digressione assurda tipo: "Oh, sembrava che lui desiderasse soltanto qualcuno con cui parlare ed essere semplicemente se stesso!"
Ma, nonostante tutto, non solo l'ho riletto, ma ho cominciato anche il secondo libro.
Anche qui lo stile è lo stesso, e ci sono perfino delle perle come "Il panico era un nastro d'argento che solcava la seta nera della sua voce" o "con voce melliflua come frullato al cioccolato" (Uottefàk?)... Inoltre, già nei primi capitoli c'è l'ennesimo scatto d'ira della vampira Ivy, e nessuno, nemmeno la protagonista, fa le cose più elementari per evitarlo. Ancora una volta sembra che i protagonisti facciano assolutamente di tutto pur di fare in modo di mettersi nei guai nel peggior modo possibile.
Eppure continuo a leggerlo. Perché? Beh, perché può avere tutti i difetti del mondo, ma per qualche motivo è ancora innegabilmente divertente. Piacere colpevole, decisamente.

lunedì 27 maggio 2013

La Preghiera Del Matto

Io sono l'ospite che vaga dentro ad un cortile
con il pensiero lento più del passo,
come un maiale nero abbandonato in un porcile
a cui si tira un sasso.

I miei ricordi del passato non ho più
per il troppo dormire.
E' tutto quanto confiscato e non c'è più:
l'hanno fatto sparire.

Oh Gesù mio, figlio di Dio,
abbi pietà di tuo figlio.
Oh Gesù mio, oh Gesù mio,
lascia un sorriso per me.

Io sono il peso su coscienze poco attente alla vita,
opulente e sposate tra loro.
Sono la carta rovinata dentro alla partita,
canto fuori dal coro
e mangio pane a bevo vino che non ha
più quel santo sapore
e devo chiudere la porta sopra al mio
vergognoso dolore.

Oh Gesù mio, figlio di Dio,
abbi pietà di tuo figlio.
Oh Gesù mio, oh Gesù mio,
lascia un sorriso per me.

Oh Gesù mio, figlio di Dio,
abbi pietà di tuo figlio.
Oh Gesù mio, oh Gesù mio,
lascia un sorriso per me.

Sono il custode di una cattedrale abbandonata
senza minimi cenni di vita.
Sono la rondine a cui l'ala è stata frantumata
ad estate finita.
Nella voragine dei miei silenzi c'è
il destino di un uomo,
ma della voglia di morire chiusa in me
io non chiedo perdono.

Oh Gesù mio, figlio di Dio,
abbi pietà di tuo figlio.
Oh Gesù mio, oh Gesù mio,
lascia un sorriso per me.

Oh Gesù mio, figlio di Dio,
abbi pietà di tuo figlio.
Oh Gesù mio, oh Gesù mio,
lascia un sorriso per me.
(La Preghiera del Matto - Enrico Ruggeri)

domenica 12 maggio 2013

1923 - 2013

1923 - 2013

So what do I do now?
He's gone
I'm left alone and so unsure
Who'll guide my heart
and bring me tears to cry?
 When all I loved
died right before my eyes.

martedì 9 aprile 2013

Argetlam - La Spada di Luce


copertina del libro Argetlam - la spada di luce
“Ginevra ha vent'anni e vive insieme alla sua famiglia adottiva composta dal fratello Alessandro e dai genitori, ma la sua esistenza viene di colpo sconvolta quando un giorno, mentre visita una mostra celtica, la statua de "Il Guerriero Vinto" prende vita davanti ai suoi occhi increduli.
In realtà quella statua altri non è che Nuada, sovrano dei Tuatha De Danann, la stirpe mitologica che aveva dominato l'Irlanda prima degli uomini, conosciuto anche come "Argetlam" ("Braccio d'Argento") per la protesi in metallo che sostituisce il suo arto destro perso durante una battaglia.
Da quel momento tra i due si instaura un legame speciale e piano piano Ginevra scopre che tutta la sua vita è molto diversa da quella che ha sempre creduto.

Sullo sfondo della città di Parma e dei suoi antichi monumenti, si snoda la fitta trama di "Argetlam - La Spada di Luce", primo capitolo della saga urban fantasy di Alessia Mainardi che affonda le radici nelle leggende del Nord Europa e nelle divinità del mondo celtico. Dopo il successo della saga fantasy "Avelion", l'autrice accompagna i lettori in uno scenario tutto nuovo, con personaggi che vivono ai giorni nostri, lavorano, studiano e si vestono alla moda, ma che in realtà rappresentano il portale di accesso a un mondo di fantasia, in cui stirpi divine da sempre in lotta per la supremazia vivono celate in mezzo agli uomini. Compito di Nuada e dei suoi compagni di avventura terrestri sarà quello di salvare la razza umana recuperando i Quattro Gioielli, oggetti magici con immensi poteri: la Spada di Luce, la Lancia della Vittoria, il Calderone dell'Abbondanza e la Pietra del Destino.
Un cammino tortuoso e irto di pericoli, in cui ragazzi moderni ed esseri leggendari dovranno imparare a comprendersi, fidandosi gli uni degli altri, per affrontare nemici imprevedibili e letali, nell'eterno conflitto tra la propria volontà e le imposizioni dettate dalle proprie origini, dall'appartenenza a un popolo o da convinzioni di supremazia frutto di antichi retaggi. Nel complicato intreccio tra storia, miti e credenze di culture lontane, ognuno affronterà la sfida più grande: conoscere e accettare se stesso, vincendo le proprie paure e le proprie debolezze, per ribellarsi a un destino imperscrutabile dove tutto sembra già scritto.”

Premetto una cosa: conoscere l’autore di un libro rende molto difficile fare sia il complimento più smisurato che la critica più pesante.
Conosco Alessia e siamo amiche da anni, ma posso dire onestamente che ammiro il suo lavoro e che la trovo una scrittrice che si impegna veramente. Anche per questo, oltre che per il desiderio di dare una mano e promuovere nuovi scrittori, stavolta ho voluto fare una piccola recensione al suo nuovo libro che apre una saga urban fantasy: Argetlam - La Spada di Luce.

La prima impressione che ne ho avuto, è che è un libro che sembra un telefilm. Nel senso che sembra scritto per essere lo script di un telefilm, e nel complesso è una sensazione abbastanza positiva. Il ritmo è rapido, e si viene presto a conoscenza, uno dopo l’altro, di tutti i membri del “cast” che accompagnerà la storia: storia che, si intuisce subito, non si limiterà ad un solo episodio. Il fatto che questo sia il primo volume di una quadrilogia lascia intendere un’avventura a puntate, nelle quali ci si aspetta che tutti i numerosi personaggi presentati in questa prima puntata d’esordio si muoveranno in contesti nuovi di volta in volta, rivelando ogni volta qualcosa di più di loro stessi.
Ha anche la costruzione tipica del telefilm, specialmente nei continui flashback e flash forward: uno stile di narrazione atipico e che ogni tanto rischia di confondere, ma che di certo tiene alta la curiosità.
A livello di trama, certi dettagli mi hanno ricordato un pochino una mia lettura recente, ovvero “La Mummia” di Anne Rice, degli anni novanta. Ha lo stesso plot semiserio, e la stessa tensione romantica tra la protagonista e la “guest star” soprannaturale.

Un’altra particolarità: il fatto di essere ambientato a Parma. Per me è sempre curioso leggere qualcosa ambientato nella mia stessa città: eppure, anche se da una parte mi suona strano, dall’altra mi si è risvegliata una simpatia istintiva riconoscendo i luoghi e le persone che hanno ovviamente ispirato molte parti del libro, e anche nostalgia per lo Shadowland, che è veramente esistito anche se solo per una breve parentesi. E poi ci si può divertire a confrontare la mappa con le vere strade di Parma, e andare a scovare i posti, reali o inventati, che vengono citati.

Se c’è qualche difetto, è nell'eccessiva fretta di finire (che purtroppo si sente molto), in molte -forse troppe- scene che vengono raccontate ma non mostrate (il momento preciso della perdita del braccio di Nuada sarebbe stata un’ottima scena da vedere nei dettagli, forse addirittura una perfetta scena iniziale, almeno a parere mio), e concetti che vengono ribaditi troppe volte o in modo insipido: Nuada si meraviglia un po’ troppe volte delle “capacità logico-deduttive” della nostra protagonista, e la suddetta accetta il soprannaturale fin troppo in fretta e di buon grado.
Invece la parte più curata mi sembra senz’altro la parte centrale dedicata al momento in cui si svolge il concerto, mentre contemporaneamente Ginevra si trova ad essere sedotta da un Incubus.

Un altro dettaglio particolarmente evidente è che Ginevra sia affetta dalla stessa disabilità dell’autrice. (Oltre a condividerne anche altri aspetti e gusti, per chi la conosce di persona.)
Si tratta quindi di una self insertion? La risposta onesta è sì, certo. Però non penso che sia un lato negativo.
In questo caso, la self insertion viene usata per raccontare un punto di vista tutto sommato inusuale: quello di una ragazza disabile. Quindi non è messo a caso, ma viene usato per descrivere dall’interno una vera e propria condizione personale: si tratta ovviamente e dichiaratamente di una forma di self insertion, ma usata con un intento molto preciso.

Più che di azione, questo primo libro mi è sembrato preparatorio: per continuare il paragone con il mondo dei telefilm, questo è senza dubbio il pilot. Ci è stato dato giusto un assaggio di tutto. Il cast è pronto, le relazioni tra i personaggi sono state rivelate, gli equilibri tra buoni, cattivi e non pervenuti anche, e resta la domanda irrisolta: sono pronti a partire; cosa li aspetta adesso?
Il libro è tutto sommato scorrevole e di facile lettura, e i continui rimandi alla fantascienza, alla mitologia e alla tradizione celtica sono interessanti. Si prospetta una saga dal sapore del romanzo a puntate, con una caccia al tesoro nelle prossime tappe, che saranno naturalmente Inghilterra, Irlanda e Scozia.

domenica 31 marzo 2013

n.d.A.

" -Sono stanca di questa storia- ribattei prima di pensare bene a cosa avrei dovuto dire.
- Non capisci che chiunque può mettere insieme una storia senza struttura? Chiunque può inventare delle azioni a caso e legarle tra loro. I bambini lo fanno di continuo. La vera abilità è un'altra, come dice Claudia: trovare modi originali di fare ciò che Aristotele dice di fare, che non si riduce a seguire semplicemente le sue istruzioni. Bisogna lavorare duro per creare un capovolgimento che non sia un cliché, o per ottenere una agnizione che non si basi semplicemente su una dimostrazione o su una "improvvisa intuizione" o su qualcosa che l'eroe ha sempre saputo, ma sul crescendo dell'azione e della tensione dell'intera trama. Dovresti rileggere Aristotele, perché ti dice non soltanto come scrivere le storie sulle bottiglie d'olio, ma anche tragedie ben fatte e pregne di significati. E sì, anche quelle sono più o meno prevedibili. Ma, secondo Aristotele, una delle cose fondamentali che uno scrittore deve fare è stupire il lettore o lo spettatore, anche se la storia in sé si basa su una formula ed è scritta in accordo ai principi di probabilità e di causa ed effetto. È una grande arte quella di realizzare un quadro che riesca a stupire il pubblico, ma ancora di più quando il pubblico si rende conto di avere avuto tutti i pezzi fin dall'inizio. - "

(Scarlett Thomas - Il Nostro Tragico Universo)

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mercoledì 20 marzo 2013

Soggetto Leggente

Sono convinta che non si possa essere un "soggetto scrivente" se non si è, o si è stati, un soggetto leggente.
Io leggo. Tanto. Spesso fino a farmi venire il mal di testa, spesso -grazie alla mia considerevole quantità di tempo libero- nel corso di una sola giornata mi si può trovare rintanata ora in un angolo della casa, ora nell'altro, ma sempre con un libro in mano, e con quel segnalibro che avanza inesorabile finché non giro l'ultima pagina, poso il libro, e con la stessa espressione dell'ubriacone al bar dico: "Un altro!"
Oltre a leggerli, io compro volentieri i libri. Con quelli più di ogni cosa sono a rischio acquisto compulsivo, specie quando quei maledetti se ne stanno lì a fissarti dallo scaffale nelle loro edizioni economiche così lucide e maneggevoli che sembrano dirti: "Prendimi, sono piccolo, carino e perfetto da portare in borsa!"
Grazie a questo vizio ho preso anche delle belle cantonate, spendendo soldi per libri che promettevano tanto, ma poi si rivelavano ciofeche. D'accordissimo col principio di leggere qualsiasi cosa, perché solo leggendo libri mediocri si riconosceranno quelli veramente belli, ma la cosa diventa dispendiosa quando per ogni libro bello ce ne sono dieci brutti, e tutti costano sui diciotto euro.
Per questo sono assolutamente favorevole a rivalutare le biblioteche, che mi hanno regalato molte tra le migliori letture degli ultimi anni.
Una curiosità: io che la biblioteca l'ho frequentata fin da quando ero bambina, per un lungo lasso di tempo a cavallo degli anni del liceo l'ho snobbata quasi completamente: all'epoca preferivo ancora l'acquisto compulsivo e lo scambio di libri tra amiche che come me erano soggetti leggenti. Dopo averci lavorato, ho riscoperto un mondo che già amavo.
Non ho smesso di comprare i libri: è una spesa che faccio davvero volentieri, e per me comprare un libro è anche un modo di premiare un autore che mi è piaciuto.
Non mi hai convinta? Grazie, è stato bello, ma il libro se ne torna in biblioteca e verrà dimenticato. Mi hai convinta? Di corsa in libreria, questo lo voglio.
Mi piace avere i libri tutti per me, vederli sugli scaffali di camera mia, portarmeli in giro, averli a portata di mano accanto al letto per quando voglio rileggermi un paragrafo che mi piaceva e poi mi trovo a rileggere l'intero libro da capo. Mi piace il libro come oggetto. Per questo, favorevole all'e-book come opzione, ma mai come sostitutivo. E poi ho una sorta di legame sentimentale imbarazzante coi libri che mi sono piaciuti: quando vado in libreria non guardo solo le novità, ma passo sempre nelle mie sezioni preferite, mi emoziona vedere che quella libreria ha tutta la bibliografia di un'autrice che adoro, mi ringalluzzisco quando vedo la ristampa moderna di una saga fantasy che ho amato alle medie, mi piace vedere i miei romanzi preferiti farmi ciao dagli scaffali. Mi piace anche vedere chi viene e chi va: sono felice quando vedo qualcun altro leggere i miei libri preferiti, per questo mi piace tanto vedere quegli stessi volumi nelle librerie e proposti sugli scaffali delle biblioteche.
Ben vengano le librerie, quindi, anche se il loro vero problema è la loro limitatissima scelta. Perfino le più grandi offrono solo ed esclusivamente le novità più blasonate, e se il libro che cerchi è appena più datato o appena meno famoso, nel migliore dei casi devi ordinarlo e nel peggiore è introvabile.

Biblioteche, quindi.
L'unico modo di leggere gratis e allo stesso tempo rovesciare le statistiche è abbuffarsi in biblioteca e poi premiare con l'acquisto solo chi se lo merita.

 Ora, secondo me, non è vero che gli italiani non leggono. Altrimenti non si spiegherebbe il surplus di libri nella sezione "novità", tutto quel caleidoscopio di copertine lustre, patinate e scivolose, colorate, luccicanti, zeppe di titoli allusivi. I libri vendono: quindi sembra proprio che gli italiani qualcosa leggano, tutto sommato.
Posso essere d'accordo su una cosa: gli italiani (nel senso della maggior parte dei soggetti che acquistano libri e finiscono nelle statistiche) non leggono... niente che non sia adeguatamente precotto, frullato, ben confezionato e servito con una bella patina pubblicitaria.
Che il libro sia brutto o bello (ci sono anche i libri patinati e belli, ebbene sì) non importa, l'importante è che l'editore ci imbocchi col cucchiaione. Diavolo, se ne parlano tutti e se la copertina è così luccicante, allora devo leggerlo. Poi magari nessuno si ricorderà di cosa parlava la trama.

domenica 10 marzo 2013

Ragazze non troppo per bene - recensione


Cominciamo col dire che la traduzione del titolo e la copertina fanno davvero un pessimo servizio al libro.
A scanso di equivoci: lo presentano come qualcosa sulla linea di Come diventare bella, ricca e stronza, Falli soffrire, Perché gli uomini sposano le stronze... Bene, NON appartiene a questa sfilza di manuali che pretendono di farti diventare una "vera donna" con tanto di pseudo-pornocopertina.
Pornocopertine. Siamo qui per fare vendere di più il libro!

Chiusa parentesi.
Questo libro, scritto da Susan Jane Gillman, mi è capitato tra le mani un giorno in libreria, ho cominciato a sfogliarlo e ho notato subito tantissime frasi che hanno catturato subito la mia attenzione. Per una volta non mi trovavo davanti ad un bel pacchetto di frasi fatte e zuppa precotta. Potrei citarvi qualche esempio:
- Scordatevi le regole per accalappiare un marito. Parliamo delle regole per accalappiare la vita.
- "Cosa vogliono le donne?" Essendo stata redattrice di una rivista femminile -ed essendo io stessa una donna- ho scoperto che oggigiorno la maggior parte delle donne vogliono due cose: 1) qualche consiglio intelligente e pratico su come muoversi nel mondo e 2) ridere. Idealmente vogliamo entrambe le cose allo stesso tempo.
- Se non riusciamo ad amare il nostro corpo, rompiamoci tutte e due le gambe. 
Mi ha convinta e l'ho preso per leggermelo tutto. E non sono stata affatto delusa.
Il libro è brillante e graffiante, un piacere da leggere: parla di cosa serie -e lo sa- ma non per questo si scade nel tragico o nel polemico. Ma nemmeno si esagera con la leggerezza e il semplicismo, come troppo spesso succede con questi libri. Tiene perfettamente fede ai suoi due principi iniziali. È vero: noi donne vogliamo ridere, e vogliamo qualche consiglio pratico. Un piacere da leggere.
Spesso forse il linguaggio è fin troppo spigliato, fin troppo "slang newyorkese" (sul sesso è schietto, spiccio e brutale: NON è per ragazzine) ma d'altra parte si fa perdonare perché non è affatto superficiale e tuttavia riesce a non prendersi troppo sul serio.
Non sono istruzioni per l'uso: è satira. Satira e parodia, ma con intenti molto seri e molto interessanti. Niente viene ignorato o risolto con qualche ricetta per la felicità prefabbricata: non ci sono le regole d'oro della vera donna vincente da seguire, né manuali di auto-aiuto. Si parla anche di questioni come la bellezza e l'ossessione per il corpo, ma grazie al cielo queste prendono solo tre capitoli, e non tre quarti di libro. 
Il tema è la vita. La realtà. Il lavoro. L'amore. Le persone. La realizzazione personale. L'essere disposte a lottare con le unghie per quello che si vuole e che si merita; il non accettare di essere ignorate, l'alzare la voce e l'uscire dai gangheri quando serve veramente. L'essere libere dall'auto-imposizione di dover sempre piacere a tutti, a tutti i costi.
Un libro semplice, senza pretese e liberatorio: ecco come lo descrivere.
Penso che il suo messaggio sia valido per tutti, sia uomini che donne, anche se si basa prevalentemente sull'esempio femminile. Ma la sostanza non cambia.
Quindi, abbiate coraggio. Incazzatevi, quando serve. Riconoscete le cose sbagliate quando le vedete, e riconoscete le cose belle. E non arrendetevi. Mettete nella carriera la stessa ostinazione che le nostre nonne vorrebbero vederci mettere invece nella ricerca di un marito. Siate oneste, invece di voler fare le affascinanti e "le migliori" a tutti i costi.
Per ovvie ragioni mi è piaciuto molto il capitolo dedicato ai vent'anni. E non posso che plaudere a tutte le donne che incoraggiano le altre donne a "calzare un paio di Doc Martens psicologiche e avventurarci senza paura in cerca d'amore, di gloria e d'avventura."

venerdì 1 marzo 2013

Flashback di scuola

Pensierino del pomeriggio...
Più di una volta ho sentito insegnanti che, parlando di uno studente particolarmente bravo e partecipe -o anche semplicemente di un buon secchione- immancabilmente concludevano il discorso dicendo che tale studente/studentessa avrebbe dovuto "trascinare la classe".
Eh no, dico io.
Cari professori, essere in grado di "trascinare" e coinvolgere la classe nelle vostre lezioni è il VOSTRO lavoro. Per un secchione, non farsi odiare è già abbastanza difficile anche senza le vostre stupide idee.

venerdì 1 febbraio 2013

Les Miserables - il film

 
 Puntavo questo film da un sacco di tempo e non ho resistito all'idea di andare alla sera della prima.
Ovviamente, avendo visto il musical, ci andavo con un sacco di aspettative e col sano terrore di trovarmene davanti una brutta copia. Ma non sono affatto stata delusa.
 Prima di tutto: mi è piaciuto? Sì. Mi è decisamente piaciuto. Specialmente perché mi sono emozionata anche solo a sentire le prime note prorompenti di Look Down con la spettacolare visione del cantiere navale, e provavo ancora la stessa emozione sulle ultime note di Do you hear the people sing.
Dato che ci sono un mucchio di cose che mi sono piaciute, andiamo subito a quelle che mi hanno lasciata perplessa.

- Javert e Valjean. Ora, prendiamo il discorso con le pinze. Quando duettano li ho trovati fantastici, ma presi singolarmente non brillavano. Vero anche che è tutto cantato dal vivo, quindi si è deliberatamente preferita la recitazione al canto: e quella c'è, sentita, sentimentale e viva, soprattutto in Valjean. Ma il pezzo da solista di Crowe mi è piaciuto più di quelli di Valjean. E Crowe non canta bene. È anche vero che pure nel musical originale io preferisco molto i pezzi corali, e sono poche le canzoni da solista che mi prendono davvero, eccetto I dreamed a dream e On my Own, e non vado matta per le parti di Valjean. Però mi aspettavo di più da Hugh Jackman, che ha una notevole esperienza di canto e di musical.
- Una scelta di regia che ho trovato strana: la telecamera fissa sul primo piano degli attori quando questi cantavano da solisti. Forse ha disturbato solo me, però da un musical trasformato in film mi aspetto quello che la performance su di un palco magari non può dare: scenografia, cambi di scena, effetti o riprese particolari... Invece, nei pezzi da solista, la telecamera resta immobile su un primissimo piano dell'attore dall'inizio alla fine. Mi è piaciuta molto I dreamed a dream a livello di voce, ma la ripresa statica mi ha smorzato un po' l'effetto, per quanto l'espressività di Anne Hataway fosse da spezzare il cuore.

("I dreamed a dream" versione musical cantata da Lea Salonga)
Ecco, in realtà sono solo queste due le osservazioni che mi viene da fare, perché per il resto è stato veramente uno spettacolo. Giusto per un appunto a parte: Javert sempre a camminare sui cornicioni. Questa non l'ho capita. Voleva essere un'allegoria della sua incrollabilità e del suo "camminare sul bordo", ma vedere Russel Crowe in piedi a caso sul cornicione di un palazzo -eccetto nella scena del ponte, dove aveva un senso- mi risultava più comico che simbolico.
Per il resto, godibilissimo. Splendidi e perfino eccessivi -ma a ragion veduta- i Thenardier, con Helena Bonham Cater più Mrs Lovett che mai, bravissimi in particolare i bambini, perché Cosette e Gavroche mi hanno veramente stupita per quanto erano bravi. Notevole Anne Hataway, brava pure Amanda Seyfried anche se, da cresciuta, Cosette fa poco altro se non la bambolina di porcellana seduta in un angolo. 
Ma soprattutto, una soddisfazione personale: Samantha Barks, la stessa Eponine del musical, che io adoro e che si è fatta decisamente valere!
(On my Own - Samantha Barks)
In totale, forse due ore e quaranta possono essere un po' lunghe da guardare e molti pezzi riservati a canzoni lente possono fare calare l'attenzione, ma non importa, perché tutto il film vale decisamente la pena. Vale la pena soffermarsi sui pezzi più "soft" per poi mettersi a cantare Master of the house, One Day More e naturalmente Do you hear the people sing, che dopo ieri sera io sicuramente non smetterò di canticchiare per un bel pezzo!
(One Day More cantata dal cast del film)