venerdì 30 settembre 2016

PRINCE LESTAT (Ovvero: “Ci può essere una sola Regina.”)



"Il Principe Lestat" uscì ben due anni fa, nell'ottobre del 2014.
Si proponeva come il grande ritorno sul panorama letterario di una saga storica che si era chiusa anni prima: Le Cronache dei Vampiri. Schiere di lettori fra la speranza e la paura. Lo comprai allora, lo lessi, lo richiusi, scavai una fossa bella profonda per le mie piccole speranze e da allora non ne feci più parola.
Ma ora, fresca di rilettura, credo di essere pronta a fare "la Recensione Che Non Serve Più", ovvero a ricollegare tutti i fili e cercare di capire cosa, cosa, COSA a mio personalissimo e parziale parere non ha assolutamente funzionato.

E poi hanno appena pubblicato "Harry Potter e la maledizione dell'erede". Insomma, è bello sapere che può sempre andare peggio!




(Io vi avverto: SPOILER come se piovessero.)


Sono tre stelline su cinque, su aNobii, ma solo perché non posso dare due stelle o meno ad un libro oggettivamente ben scritto. Premetto che adoro Anne Rice, il suo stile, le sue Cronache (delle quali però ritengo essere davvero valida solo la trilogia originale), quindi è molto doloroso recensire negativamente un libro che ho letto comunque sotto l’influenza di tutta l’ammirazione che ho per una scrittrice del suo calibro. Sono i contenuti, qui, ad essere davvero carenti.

In realtà il libro parte piuttosto bene. Non è male vedere come se la cavano i vampiri passati gli anni 2000, ed è veramente interessante pensare come le comunità soprannaturali possano sperimentare una crisi a causa dell’avvento della tecnologia moderna.
Ma. Le note dolenti arrivano prestissimo.
Con la figura di Fareed, il medico vampiro, arriva quello che non bisognerebbe mai fare: il tentativo di spiegare il soprannaturale.
Faccio il paragone con La Regina dei Dannati perché i due libri hanno molto in comune: stessa struttura, stesso svolgimento, ma uno funziona e l’altro no. Nel terzo libro delle Cronache la genesi dei vampiri veniva effettivamente spiegata, ma si rimaneva nel mondo dello spirituale e dell’inconoscibile. Qui invece tutta la magia e l’aura di misticismo si incrina e cigola sotto tentativi di spiegazioni scientifiche basate su cellule e molecole che, anche se possono essere ingegnose, a parer mio rovinano lo spirito del libro. (Con le parole: “Non siamo morti, siamo organismi vivissimi” Fareed rovina l’intero spirito di una saga) I vampiri della Rice rimangono troppo romantici per avventurarsi nel mondo delle prove empiriche.
E poi, nessuno vuole la spiegazione scientifica al vampirismo. Vogliamo i morsi e i banchetti di sangue, grazie.
Gli esami ed esperimenti a cui Lestat si sottopone sfiorano il ridicolo, compreso quello ingegnosamente progettato per fargli provare di nuovo il sesso come umano, ma su quello tornerò più tardi. Infelicissima la frase “Avrei potuto scrivere un saggio di 500 pagine su come mi gettai su quella giovane donna...” E allora descrivi, di grazia, che io per questo malloppo di libro ho pagato.
Inoltre, certe battute a beneficio della “modernità” sono solo imbarazzanti, come Lestat che cita Mel Brooks. Ma, dopo un inizio che tutto sommato ingrana, con la crescente minaccia di un pericolo comune misterioso e incalzante, proprio come era Akasha... tutto comincia a rallentare.

La storia dell’umana Rose intrattiene, come hanno sempre fatto le storie degli umani che per caso o per destino incrociano il cammino dei vampiri. Mi è sembrata quasi una sostituta per Claudia, una nuova figlia adottiva di Lestat. Non mi dispiaceva il suo carattere, ma purtroppo finisce per diventare una delle ragazze indifese, angelicate e prive di spessore che un po’ troppe volte si incontrano all’interno delle Cronache.
Il suo flashback si conclude purtroppo con la rivelazione della Grande Boiata che permea questo libro.
Il figlio di Lestat.


 (E uno pensa: avrà una sua utilità? No, per tutto il libro è inutile e torna buono solo come ostaggio. Ma magari sarà l’unico lascito umano di Lestat, l’unico erede mortale che... No. Vampirizzato entro la fine del libro.)

Mentre ancora ci si asciuga le lacrime, si passa alle storie di un mucchio di personaggi nuovi. Storie piuttosto interessanti ma, come ho detto, sono un mucchio. Troppi nomi, troppe storie che non spiccano, e stavolta (al contrario de La Regina dei Dannati) le situazioni non sono mai abbastanza pregnanti.
Non si sente il pericolo incalzante, non si ha la sensazione che ogni capitolo sia un pezzo di puzzle che va al suo posto. Metà della Regina era occupato dalla storia delle gemelle, ma quella storia era fondamentale per i vampiri riuniti ad ascoltarla, così come per il lettore.
Qui si affoga lentamente fra i nomi e i fatti. La narrazione procede lenta e leziosa. Spiccano i pochi momenti di vera azione e pericolo, ma invece per il resto tutti i nuovi personaggi sono così tranquilli, pacati, educati e pieni di sussiego da dare sui nervi. Sembrano troppo occupati a fare le presentazioni fra loro piuttosto che a fare avanzare la trama in una direzione qualsiasi.
I vampiri della Rice erano sempre eccessivi, nel bene e nel male, ma erano dominati da emozioni fortissime che potevano distruggere o salvare. Armand era uno psicopatico. Il rapporto fra Lestat, Louis e Claudia ha quasi portato tutti e tre alla morte. Quei vampiri si erano fatti a vicenda cose inenarrabili, e alla fine, a distanza di secoli, si sforzavano di andare d’accordo nonostante il baratro rimasto fra di loro.

Qui invece sono tutti sedati. Tutti beneducati e vestiti benissimo, cosa che viene ribadita fino allo sfinimento. (Ho perso il conto di quante volte ho letto le parole lana pettinata e capelli curatissimi: per favore, per una volta vorrei un vampiro buzzurro.)
 La cosa più insopportabile è che sembra che la Rice abbia avuto intenzione di riabilitare e ripulire tutti i suoi vecchi personaggi. C’è un tripudio di secondari che ritornano, ma non fanno altro che un breve cameo: è bello rivedere alcuni (come Eleni o Alessandra), curioso ricevere rivelazioni inaspettate su altri dati per morti (il creatore di Marius), mentre altri... Beh, il fatto rilevante sembra essere ancora una volta che tutti ritornano in splendida forma e aspetto meraviglioso: sembra che adesso non sia più permesso essere brutti o inquietanti.
Perfino Magnus (Magnus. MAGNUS!), il vampiro creatore di Lestat, ritorna come fantasma. E, siccome i fantasmi a quanto pare possono scegliere il loro aspetto, il suo è ovviamente bellissimo e fascinoso. Un educato e splendido gentiluomo di mezza età senza altro scopo se non di fare il proprio cameo.
No, Cristo! Ridateci il vecchio gobbo pazzo! (anzi, lasciate le sue ceneri al vento, dove dovrebbero restare!)
Una volta la narrazione era piena di significato e poesia. Ora la cosa più importante sembra essere ribadire in ogni capitolo di che marca siano i vestiti firmati dei protagonisti.
Poi: so che i libri sono parte integrante del mondo dei vampiri, ma più di una volta nella storia vengono prese in esame le Cronache e sembra sempre che la Rice si stia facendo i complimenti da sola.

Tutto il libro è un lungo percorso per radunare i personaggi in un solo luogo. E ci mettono un’eternità. Senza urgenza, senza coinvolgimento, senza panico, senza pathos: sono tutti così tranquilli e rassegnati che ti chiedi perché dovresti essere tu a preoccuparti. Gli unici pezzi in cui davvero si teme per i nostri beniamini sono durante i colloqui con Jesse e David, quando si viene a sapere della condizione critica delle due gemelle millenarie, Mekare e Maharet.
Poi di colpo accade il peggio con la violentissima morte di Maharet che nessuno voleva vedere finire così.
Comunque, i vampiri hanno davvero troppa fiducia che Lestat possa essere la soluzione. Non hanno mai avuto fiducia in lui, e facevano bene. Lestat è quello che i casini li crea, non li risolve. Funziona l’idea di lui come figura carismatica e famosa attorno a cui la comunità dei vampiri si radunerebbe, ma siamo seri, qualcuno gli affiderebbe potere decisionale su qualcosa? Qualsiasi cosa?



È un eccesso di amore, un’ode a Lestat più sperticata ed ingiustificata che mai. Amavo Lestat per il fatto di non essere un leader. Era fantastico per il suo modo di tirarsi addosso l’amore ma anche l’odio di tutti gli altri: ora tutti lo osannano come la più banale delle Mary Sue. Non c’è più traccia della sua complessità, il suo spirito d’azzardo e il suo essere controverso. Ora, almeno agli occhi di tutti coloro che popolano il libro, non può essere altro che perfetto.

Inoltre, a me dispiace moltissimo come viene trattata Mekare. Questa è solo una mia opinione, ma il mistero che la circondava, il fatto che fosse una creatura muta e selvatica, le aveva sempre dato un’aura di fascino mistico. Lei era l’unica che potesse prendere dentro di sé lo spirito Amel e diventare la sola, degna regina dei dannati.
Invece il libro sostiene la teoria che Mekare sia ridotta a nient’altro che una creatura in stato quasi vegetativo con solo brevi guizzi di intelligenza, e sfata completamente il mito, la declassa, la relega a rumore di fondo.
Ammetto che è una scelta comunque interessante, può piacere o no. Per me non ha fatto altro che aumentare la sensazione che tutti i personaggi, anche i più potenti e mistici, stessero perdendo il loro status in favore di Lestat.

Amel si è risvegliato e sta soffrendo all’interno del corpo privo di raziocinio di Mekare. Viene da chiedersi allora che cosa provasse durante i millenni di immobilità dentro il corpo di Akasha ridotta ad una statua.
Il problema è che l’unica reazione a questa minaccia sono chiacchiere. Anche quando finalmente i vampiri si radunano, non si fa altro che fare un lunghissimo punto della situazione. I bevitori di sangue sono soltanto nomi radunati attorno ad un tavolo, e poco altro. Fra applausi, grida di giubilo e fuochi d’artificio riappare anche Gabrielle, che probabilmente insieme alla nuova vampira Sevraine sarebbe già pronta per conquistare il mondo e lascia intendere un passato di avventure incredibili, ma di tutto questo non verrà parlato.
Mi piace la svolta sanguinosa che prendono gli eventi quando è (FINALMENTE) il momento di affrontare il nemico faccia a faccia, ma tutto quello che riesco a pensare alla fine dell’azione è: così facile? C’era veramente bisogno di 400 pagine? I due vampiri antichi che ricoprono il ruolo degli antagonisti sono talmente riluttanti e si fanno fregare così facilmente da essere imbarazzanti.
Come nella peggiore delle tradizioni, le scene più belle accadono fuori scena. Avrei voluto assistere al momento del risveglio di Mekare invece di sentirla raccontare per telefono. Quello sì che avrebbe allungato almeno un po’ una scena di climax penosamente breve, invece la tensione dura appena mezzo capitolo, per lasciare il posto a...? Ulteriori capitoli di assestamento!
Parentesi: alcune scene finali come quella dell’apparizione di Amel nello specchio o di Mekare che raggiunge Lestat sono veramente belle. Sono le conseguenze a lasciare profondamente perplessi.
Ma andiamo con ordine, sui punti più controversi del libro.

Lestat e Viktor
Viktor, spiace dirlo, ma è inutile. Il suo concepimento è forzato e ridicolo. Ai fini della trama serve come ostaggio, ma per quello, narrativamente parlando, sarebbe bastata Rose. Anzi, lei sarebbe stata una scelta migliore. Lestat non ha un rapporto con Viktor: un personaggio meno emotivo avrebbe anche potuto non provare nulla per lui, un figlio che non ha mai visto e con cui non ha alcun legame se non quello biologico. Ma no, ovviamente Lestat non può che amare con tutto il cuore questo figlio (...clone?) spuntato dal nulla, che alla trama non aggiunge nulla.

Pessime decisioni, volume 1: Viktor e Rose
Ormai è prassi venire trasformati in vampiri senza passare dal via.
Viktor è cresciuto fra soprannaturali, con Rose ci hanno provato a tenerla lontana, ma ci è finita dentro. Inevitabile il parallelo con la storia di Jesse Reeves, se non fosse che Jesse era un personaggio completo, mentre Rose è una macchietta.
Siamo davvero sicuri che l’idea migliore sia trasformare una coppia di ventenni sani che sanno a malapena che cosa stanno chiedendo? L’ipotesi di non farlo, di risparmiarli e lasciare che vivano la vita normale che dicono di non volere viene solo sfiorata e poi accantonata: no, no, molto meglio trasformare questi giovani traumatizzati prima di subito, a neanche ventiquattro ore dal loro incontro con Lestat.
Idea buona quanto quella di trasformare Benji a suo tempo: un dodicenne, e quindi un altro bambino vampiro, quando abbiamo già visto tutti le conseguenze su Claudia. Non importa se questo marmocchio riesce a farsi passare per adulto: resta quello che è. Un dodicenne vampiro.

Pessime decisioni, volume 2: C’è una sola Regina dei dannati, e il suo nome è Lestat
Era l’unico modo in cui potevano andare a finire le cose. Il titolo è già in sé uno spoiler bello grosso. Ma spiegatemi perché tutti dovrebbero acclamarla come una buona idea.
Il momento del passaggio di testimone di Mekare è macabro e molto d’impatto, ma (a parte che non sapremo mai se Mekare agisse di sua volontà o spinta da Amel...) per gli altri vampiri sarebbe il momento di tremare sul serio. Amel ha trovato il suo nuovo ospite e, oh mio Dio, non poteva sceglierne uno più controverso e incontrollabile. Molti dei vampiri potrebbero avere da ridire, schierarsi con Lestat o contro di lui. Insomma, ci sarebbe terreno fertile per un buon calderone di conflitti.
No. Tutti approvano. Il principe è stato scelto, evviva il principe.
Ma certo, perché se c’è un vampiro che non ha mai fatto scelte discutibili, completamente folli, pericolose e autodistruttive quello è Lestat, vero? A parer mio, Lestat è il primo candidato a cadere in preda alla follia con la prospettiva della voce di Amel nella sua mente in eterno! Ma a quanto pare non sarà così, anzi, si rivela invece la soluzione ad ogni male perché in questo modo né lui né Amel saranno mai più soli.
Sarà, ma io avrei davvero paura di un vampiro come Lestat con Amel nella testa. Ma nessuno (o pochi?) dei personaggi sembra condividere il timore.

La conclusione, dopo attimi di tensione troppo brevi, è prolissa e noiosa in modo quasi doloroso. Altri interminabili discorsi. Altri tributi di devozione al nostro perfetto vampiro. Altra politica e salamelecchi.
Una cosa apprezzabile: l’ultimo capitolo dedicato a Louis che in qualche modo chiude il cerchio. Ma non basta a superare la delusione e la sensazione che alcuni vampiri avrebbero dovuto restare nelle loro bare, intatti, nello splendore degli anni ’80.

Tutto il libro non sembra altro che una preparazione per un nuovo ordine, con quei personaggi nuovi schierati ma non ancora utilizzati, forse in attesa del prossimo episodio.
A proposito, abbiamo già il titolo. In origine doveva essere Blood Paradise, ma ora sta per uscire sotto il titolo di Prince Lestat and The Realm of Atlantis.
...
Non ce la faccio.

 (http://sheepskeleton.tumblr.com/)


 E adesso, per ricordare insieme i bei tempi!