lunedì 6 giugno 2016

INNOCENT - di bullismo e Voltaire



[PREAMBOLO]

Ho cambiato idea. Sono ancora qui. Il fatto è che scrivo su questo angolino virtuale dal 2011 e, come si suol dire, questa è casa mia. L’idea di un blog nuovo dedicato solo alle recensioni c’era, ma non mi piace fare le cose a metà. Chi l’ha detto che avrò voglia di scrivere solo recensioni?

Per esempio, questa non la è. Ma credo che sia qualcosa che possa interessarvi.

[FINE PREAMBOLO]



Aurelio Voltaire è un musicista e cantautore cubano di dark cabaret.
Sì, sono una fan. Lo seguo dai tempi di perle come “Death death devil devil evil evil song” e amo moltissimo il suo stile almeno quanto il suo senso dell’umorismo.
Seguo la sua pagina di facebook, e qualche settimana fa sono incappata in questo. Il cantante ha pubblicato un video che comprende non solo un video musicale realizzato in collaborazione con l’associazione RTSI - Rätten till sin identitet -che lotta contro le discriminazioni- ma anche un discorso di introduzione in cui lui stesso racconta la sua esperienza personale con la discriminazione e il bullismo in giovanissima età.
Il video parla sostanzialmente di questo. Trovo che metterci la faccia e raccontare nei dettagli le proprie brutte esperienze passate sia qualcosa di molto potente.
Anche perché non racconta solo della caduta e degli anni difficili, ma anche, e soprattutto, della risalita
Non è male che qualcuno ci ricordi che è possibile risalire.
Il suo discorso non ha i sottotitoli, quindi ho pensato di fare qualcosa di gradito per i non anglofoni, e di tradurlo qui per voi.


“Salve, il mio nome è Aurelio Voltaire e sono il compositore della canzone “Innocent”.
Il mio repertorio musicale è composto da murder ballads, canzoni ridicole su Star Trek e Star Wars, canzoni che parlano di non morti, signore della notte, vampiri, lupi mannari... insomma, un repertorio piuttosto sciocco... Ma c’è un certo numero di canzoni molto più serie. Qualche volta, dopo un concerto, capita che qualcuno venga da me e mi dica che una delle mie canzoni lo ha aiutato a superare un periodo molto cupo della sua vita. E so che di solito si tratta di Feathery Wings, oppure Sacrifice. O Innocent. E molto spesso è proprio Innocent.
Ora... quel che rispondo a queste persone è che non sono sorpreso. So che suona molto arrogante, ma la ragione per cui non mi sorprende è perché queste canzoni le ho scritte per aiutare il me stesso di allora ad affrontare proprio le stesse cose che state affrontando voi. Per questo dico che queste canzoni sono state testate sul campo di battaglia. Perché sono state scritte con il preciso intento di guarire, dopo aver affrontato difficoltà del genere.

Innocent parla di bullismo. Il che, sfortunatamente, è un argomento che conosco molto bene.
La mia famiglia si trasferì in America da Cuba quando ero bambino, e ci stabilimmo nel nord del New Jersey. La mia scuola elementare era frequentata soprattutto da gente di colore e ispanici, così pensai che mi sarei amalgamato perfettamente, essendo cubano. Ma mi sbagliavo. Ero l’unico che avesse la pelle chiara, e questo faceva di me il “bambino bianco”. Venivo bullizzato e preso in giro per il fatto di essere bianco... e quando dico “bullizzato” non intendo in modo leggero: venivo insultato, venivo picchiato molto spesso, e, sì, era abbastanza terribile. Era qualcosa di molto duro da affrontare, prima alle elementari, poi in prima e seconda media... ero ancora così giovane.
Quando stavo ancora frequentando le medie cambiammo casa, e ci spostammo nella suburbia. Mentre ci dirigevamo in macchina verso la nostra nuova cittadina vidi gli alberi e l’erba per la prima volta, e vidi gente bianca camminare per le strade portando i cani a passeggio, e –ed è tutto vero!- mi voltai verso mia sorella ed esclamai: “Andremo a vivere con i bianchi!”
Ero così emozionato! Avremmo finalmente vissuto con la “nostra gente” e questo significava che non sarei più stato bullizzato.
Il primo giorno di scuola fecero l’appello. Chiamarono “Winesteen!” e una mano si alzò, “O’Malley!” e un’altra mano si alzò, quindi chiamarono “Hernandez!” –che è il mio cognome- e io alzai la mano.
Tutta la classe si voltò a guardarmi.
Quindi, uno dei bambini sussurrò: “He’s a Spick!” -che è un termine denigratorio per definire gli ispanici e latinoamericani... - e da quel giorno in poi non fui più il “bambino bianco”. Ora ero il bambino ispanico, e venni bullizzato ogni singolo giorno per essere “quello ispanico”.
Ma, fortunatamente, con un po’ di tempo arrivarono a conoscermi meglio come persona, e... scoprirono che c’erano un mucchio di ragioni migliori per odiarmi.
Vedete, a tutti gli altri ragazzi piacevano gli sport, a me invece no. E questo mi rendeva un frocio, a quanto dicevano loro.
Realizzavo filmati in stop motion nella mia cantina, perché adoravo Ray Harryhausen e volevo essere come lui: credevo che la cosa mi rendesse un regista, ma a quanto pare anche quello mi rendeva un frocio.
E durante la ricreazione, mentre i ragazzi giocavano a palla, io ero quello che si portava in cortile un grosso blocco per gli schizzi e disegnava scene tratte da Star Trek e Star Wars: trovavo che quello mi rendesse un artista, e la cosa mi rendeva davvero felice. Ma la definizione che gli altri trovavano per quel genere di passatempo era, ancora una volta, frocio.
Venivo bullizzato senza sosta, e ancora una volta purtroppo non intendo dire che si limitavano ad insultarmi: intendo dire che c’erano regolarmente gang di ragazzi che mi aspettavano dopo scuola e mi davano la caccia. E io non ero un grande corridore, perciò di solito riuscivano a beccarmi e –senza mezzi termini- a pestarmi.

Sfortunatamente, la mia vita in famiglia non andava molto meglio.
Sono cresciuto in una famiglia cubana con un regime molto severo. Avevo un patrigno convinto che praticamente qualsiasi cosa fosse una minaccia di omosessualità, era terrorizzato dalla possibilità che qualsiasi cosa potesse essere “troppo gay”- come se fosse la cosa peggiore che possa accadere ad una persona... – Perciò condivideva l’opinione comune dei ragazzi della mia scuola: che il mio interesse per le animazioni in stop-motion mi rendesse [accento spagnolo] “un homosexual!” e anche disegnare personaggi da Star Trek e Star Wars mi rendesse “un homosexual!”.
Perciò, anche la vita a casa era piuttosto terrificante. E immaginatevi, non appena scoprii lo stile e la musica goth e new wave, e volli farmi un orecchino e tingermi i capelli, questo agli occhi di tutti dovette fare di me un perfetto esempio di omosessuale spudorato.
Insomma, avevo un sacco di problemi a scuola, e un sacco di problemi a casa.
E, giusto per peggiorare ancora le cose, c’era un uomo, un pervertito amico di famiglia, che cominciò ad interessarsi a me. Quindi, come se non bastasse, subii anche molestie sessuali.
Fu un periodo abbastanza terribile. Un periodo terribile con un sacco di cose orrende da sopportare.

Quando avevo sedici anni, l’amore della mia vita decise di uccidersi. Aveva solo un anno più di me: diciassette anni, e si tolse la vita. Pensai che, probabilmente, in realtà lei non fosse mai stata adatta per questo mondo. Pensai che il mondo fosse pieno di gente crudele, orrenda e terribile.
Quello non era mai stato posto per lei, e non lo era nemmeno per me.
Forse stavo davvero cominciando a pensare di seguire il consiglio di tutte le persone della mia città, quelli che mi dicevano: “Non piaci a nessuno, dovresti ammazzarti.” Cominciai a pensare, in modo molto razionale: “Credo proprio che abbiano ragione. Credo proprio che questo non sia posto per me, credo che dovrei uccidermi.”
E così, decisi che lo avrei fatto. Andai a dormire e decisi che il giorno seguente mi sarei tolto la vita. Mi svegliai... E fu allora che ebbi un’idea. Pensai: “Ho intenzione di farlo sul serio, alla fine, ma... Solo per un giorno, solo per esperimento, farò e dirò esattamente tutto quello che voglio fare e dire. Mi difenderò e non permetterò a me stesso di venire bullizzato un’altra volta.”
Così andai a scuola e ad un tratto venni circondato dai giocatori di football, chiaramente intenzionati a divertirsi un po’ con me. E dissi esattamente ciò che pensavo di tutti loro, per una volta reagii dritto in faccia a loro: perché sapevo che quello stesso giorno sarei morto, e perciò nulla di quel che potevano farmi sarebbe stato peggio.
E fu un vero shock per me quando... semplicemente mi voltarono le spalle e se ne andarono.
Avevo dei problemi con un’insegnante, e quel giorno le dissi esattamente tutto quello che pensavo di lei. Quando tornai a casa discussi con i miei genitori, e dissi tutto quel che pensavo anche di loro.
Quello sì che fu un giorno particolarmente glorioso. Alla sera me ne tornai nella mia piccola stanzetta inquietante nel sottoscala, ed ero sul punto di compiere ciò che mi ero ripromesso di fare, quando pensai: “Wow. Che gran giornata. Ok ok, non mi sto tirando indietro, mi ucciderò sul serio, ma... Solo un altro giorno. Solo un altro giorno come oggi.”

Questo accadde trentadue anni fa.
E la ragione per cui sono vivo, oggi, è che ho vissuto la mia vita in quel modo ogni giorno, per trentadue anni. Sono stato il primo difensore di me stesso, mi sono rifiutato di venire bullizzato ancora, poiché non c’è nulla che un bullo possa farvi che sia peggio di vivere nella paura. Onestamente, preferirei rompermi un braccio piuttosto che vivere nella paura ancora una volta.

Di conseguenza, un giorno me ne andai di casa. Me ne andai a Manhattan, dove mi trovai circondato da gente che la pensava come me. Ero circondato da altre persone che amavano l’arte, la musica, la cultura goth e new wave, e tutte le cose che avevo sempre amato.
Giusto il mio primissimo giorno a Manhattan – letteralmente, dal primo istante in cui i miei stivali a punta con le borchie a forma di teschio toccarono il suolo di Manhattan – tutto cambiò.
C’erano persone che mi fermavano e dicevano: “Hai uno stile fantastico, ti piacerebbe recitare nel mio film? Aspetta un attimo, hai detto che realizzi filmati in stop-motion? Ma è meraviglioso!”
Tutto ciò che mi rendeva un paria sociale, apparentemente meritevole di morte, nel paesino in cui ero cresciuto, mi rendeva una persona affascinante a New York. 
Le persone mi apprezzavano per chi ero veramente, e fu solo allora che realizzai che non c’era niente di sbagliato in me. C’era qualcosa di davvero sbagliato, invece, in tutta quella gente dalle vedute ristrette in quella piccola città.

Ora... Quando ero ragazzino, mi sarebbe stato di grande aiuto ascoltare una canzone come Innocent. Sento che c’è ancora tanto dolore dentro di me quando ripenso a quei tempi, alla mia infanzia e a tutto quel che ho passato, e così ho scritto Innocent innanzitutto per me stesso: per il me stesso più giovane, per così dire.
Così mi auguro che, se qualcuno di voi sta passando qualcuna delle brutte esperienze che ho passato io, questa canzone possa aiutarvi. E, più importante di tutto, spero che seguiate il mio consiglio: rispettate voi stessi, credete in voi stessi, difendete voi stessi, e dichiarate: “Non permetterò che mi maltrattino.”
Se state subendo delle violenze, ditelo ai vostri genitori. Ditelo ad un insegnante. Chiamate la polizia. Fate tutto quello che dovete fare per coinvolgere una figura dotata di autorità, perché il bullismo è qualcosa di assolutamente inaccettabile. Non ve lo meritate. Credetemi.
Grazie per avermi ascoltato, e spero che vi godiate la canzone.”