mercoledì 23 aprile 2014

Di sfoghi e di fantasmi

Un pomeriggio si parlava di sogni e di fantasmi, una di quelle occasioni in cui una storia tira l’altra, e non si riesce a smettere perché si ride e perché vuoi sapere di più, anche se sai che la tua mente metterà in serbo ogni dettaglio spaventoso per la prossima notte in cui sarai in casa da sola e il tuo cervello sarà particolarmente annoiato.
E, mentre si scherzava sul classico “morirei di paura se mi succedesse davvero”, un’amica disse qualcosa che suonava come: «Mi fa molta più paura pensare che non sia reale. Mi fa molta più paura il pensiero di cercare un lavoro.»
Punfete. Secca.
Per una bizzarra associazione di idee mi sono accorta che capivo perfettamente cosa intendeva, e che la cosa spaventava anche me.
E attorno a me c’erano gli scenari di corridoi bui in cui strisciavano fantasmi di donne e pazzi sbavanti, e sono finita a guardare ognuno di loro negli occhi e dire: «Ciao, apparizione hollywoodiana di quart’ordine. No, scusami se non strillo, non mi va. Qualcosa chiamato realtà mi ha appena risucchiato qualsiasi voglia di strillare o di sobbalzare. Senti, levati di torno, leggenda metropolitana. Spostati, incubo preconfezionato: non è serata. Ah, insistete? Stupidi fantasmi da vetrina, sono ben altri i mostri che si sono appena presentati strisciando alla mia porta, e non se ne andranno! Prendiamo il fantasma del tempo che passa? O delle occasioni perdute? Non ululano né strillano: stanno solo fermi e ti fissano. Ad ogni angolo. E li vedi solo tu. Prendiamo il mostro strisciante e sofferente di una vita che non va da nessuna parte, l’incapacità di dare una qualsiasi forma riconoscibile al proprio presente e al proprio futuro che si traduce nelle molte teste deformi di questa creatura, gli arti che si contorcono, le dita viscide di sangue che ti afferrano per le caviglie non ti lasciano andare? Prendiamo lo spettro urlante delle responsabilità? Quello piangente della solitudine? O prendiamo la banshee urlante e impazzita dell’essere nata artista e quindi profondamente inutile, mediocre in qualsiasi cosa non sia il pensiero creativo (ma solo quello, il pensiero), non abbastanza intelligente da essere un genio ma non abbastanza stupida da essere brava in un “lavoro qualsiasi”, non abbastanza mediocre da accontentarsi, non abbastanza ottusa da smettere di chiedersi “perché?” su tutto e quindi restare penosamente immobile; artista, una stramaledettissima artista e perciò incapace di essere qualcosa di normale?!»

Ma tutti i mostri da baraccone si erano già ritirati, gemendo e ringhiando nei loro angoli bui, lasciandomi sola con i miei.

LATE HOURS by mvartist

martedì 22 aprile 2014

Der Spiegel im Spiegel

Ci sono racconti che hanno senso solo nella testa dello scrittore. Altri di cui afferriamo vagamente il senso perché usano metafore comuni, ma che comunque non capiamo e non riusciamo a fare nostri. Altri ancora di cui ignoriamo del tutto significato, ma che hanno delle belle immagini che ci lasciano ispirati ma un po' confusi. E alcuni che capiamo, perché in qualche modo, in quel momento della nostra vita, hanno senso anche nella nostra testa.
È la prima volta che mi capita di leggere un libro dove ce ne siano di tutti questi tipi.


"(...) Il vecchio gli picchietta col dito sul petto, alitandogli in faccia. "Combattere una battaglia perduta, questa è la vita!" dice scandendo ogni parola. "E in che cosa consistono la grandezza, l'appello di natura morale, l'imperativo etico? Glielo dico io, giovanotto: anche se tutto è privo di senso, bisogna comunque intraprendere qualcosa! Perché? Perché l'uomo deve fare quello che è in suo potere fare!" (...)

"(...)A un certo punto rinunciò a credere che il sipario si sarebbe mai alzato, pur sapendo nello stesso tempo di non poter lasciare il suo posto, perché non era del tutto da escludere la possibilità che invece, inaspettatamente, esso si aprisse. Da un pezzo aveva cessato di sperare, o di provare rabbia. Non poteva fare altro che restare lì dov'era, qualsiasi cosa accadesse o non accadesse." (...)

(Michael Ende - Lo Specchio nello Specchio)

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giovedì 10 aprile 2014

E una padellata di 'zzi vostri, no?

Ci saranno sempre persone che pretenderanno di dirvi come dovreste essere, e che vi faranno sentire inadeguati.
In questi casi bisogna chiedersi solo: Questa persona mi vuole bene? Mi conosce profondamente? Mi sta dando la sua opinione perché vuole farmi stare meglio? Mi critica perché il mio comportamento ferisce qualcuno o la fa sentire a disagio?
Se la risposta è sì, allora vale la pena di ascoltare e valutare.
Altrimenti, la risposta è: "Fatti i cazzi tuoi".
E, se chi critica, attacca e giudica impietoso è la botulinata showgirl o due truzzetti misogini, sentitevi libere di aggiungerci un bel "Vaffanculo".