E, mentre si scherzava sul classico “morirei di paura se mi
succedesse davvero”, un’amica disse qualcosa che suonava come: «Mi fa molta più
paura pensare che non sia reale. Mi fa molta più paura il pensiero di cercare
un lavoro.»
Punfete. Secca.
Per una bizzarra associazione di idee mi sono accorta che capivo perfettamente cosa intendeva, e che la cosa spaventava anche me.
E attorno a me c’erano gli scenari di corridoi bui in cui strisciavano fantasmi di donne e pazzi sbavanti, e sono finita a guardare ognuno di loro negli occhi e dire: «Ciao, apparizione hollywoodiana di quart’ordine. No, scusami se non strillo, non mi va. Qualcosa chiamato realtà mi ha appena risucchiato qualsiasi voglia di strillare o di sobbalzare. Senti, levati di torno, leggenda metropolitana. Spostati, incubo preconfezionato: non è serata. Ah, insistete? Stupidi fantasmi da vetrina, sono ben altri i mostri che si sono appena presentati strisciando alla mia porta, e non se ne andranno! Prendiamo il fantasma del tempo che passa? O delle occasioni perdute? Non ululano né strillano: stanno solo fermi e ti fissano. Ad ogni angolo. E li vedi solo tu. Prendiamo il mostro strisciante e sofferente di una vita che non va da nessuna parte, l’incapacità di dare una qualsiasi forma riconoscibile al proprio presente e al proprio futuro che si traduce nelle molte teste deformi di questa creatura, gli arti che si contorcono, le dita viscide di sangue che ti afferrano per le caviglie non ti lasciano andare? Prendiamo lo spettro urlante delle responsabilità? Quello piangente della solitudine? O prendiamo la banshee urlante e impazzita dell’essere nata artista e quindi profondamente inutile, mediocre in qualsiasi cosa non sia il pensiero creativo (ma solo quello, il pensiero), non abbastanza intelligente da essere un genio ma non abbastanza stupida da essere brava in un “lavoro qualsiasi”, non abbastanza mediocre da accontentarsi, non abbastanza ottusa da smettere di chiedersi “perché?” su tutto e quindi restare penosamente immobile; artista, una stramaledettissima artista e perciò incapace di essere qualcosa di normale?!»
Ma tutti i mostri da baraccone si erano già ritirati, gemendo e ringhiando nei loro angoli bui, lasciandomi sola con i miei.
Punfete. Secca.
Per una bizzarra associazione di idee mi sono accorta che capivo perfettamente cosa intendeva, e che la cosa spaventava anche me.
E attorno a me c’erano gli scenari di corridoi bui in cui strisciavano fantasmi di donne e pazzi sbavanti, e sono finita a guardare ognuno di loro negli occhi e dire: «Ciao, apparizione hollywoodiana di quart’ordine. No, scusami se non strillo, non mi va. Qualcosa chiamato realtà mi ha appena risucchiato qualsiasi voglia di strillare o di sobbalzare. Senti, levati di torno, leggenda metropolitana. Spostati, incubo preconfezionato: non è serata. Ah, insistete? Stupidi fantasmi da vetrina, sono ben altri i mostri che si sono appena presentati strisciando alla mia porta, e non se ne andranno! Prendiamo il fantasma del tempo che passa? O delle occasioni perdute? Non ululano né strillano: stanno solo fermi e ti fissano. Ad ogni angolo. E li vedi solo tu. Prendiamo il mostro strisciante e sofferente di una vita che non va da nessuna parte, l’incapacità di dare una qualsiasi forma riconoscibile al proprio presente e al proprio futuro che si traduce nelle molte teste deformi di questa creatura, gli arti che si contorcono, le dita viscide di sangue che ti afferrano per le caviglie non ti lasciano andare? Prendiamo lo spettro urlante delle responsabilità? Quello piangente della solitudine? O prendiamo la banshee urlante e impazzita dell’essere nata artista e quindi profondamente inutile, mediocre in qualsiasi cosa non sia il pensiero creativo (ma solo quello, il pensiero), non abbastanza intelligente da essere un genio ma non abbastanza stupida da essere brava in un “lavoro qualsiasi”, non abbastanza mediocre da accontentarsi, non abbastanza ottusa da smettere di chiedersi “perché?” su tutto e quindi restare penosamente immobile; artista, una stramaledettissima artista e perciò incapace di essere qualcosa di normale?!»
Ma tutti i mostri da baraccone si erano già ritirati, gemendo e ringhiando nei loro angoli bui, lasciandomi sola con i miei.
Ci raccontiamo storie dell'orrore per non vedere l'orrore che abbiamo davanti ogni giorno.
RispondiEliminaAnche a me fa più paura guardare in faccia cosa ho perso in questo mese, ad esempio, di qualsiasi storia di horror.
Troppo vero, purtroppo. :(
Elimina