[PREAMBOLO]
Ho
cambiato idea. Sono ancora qui. Il fatto è che scrivo su questo angolino
virtuale dal 2011 e, come si suol dire, questa è casa mia. L’idea di un blog
nuovo dedicato solo alle recensioni c’era, ma non mi piace fare le cose a metà.
Chi l’ha detto che avrò voglia di scrivere solo recensioni?
Per
esempio, questa non la è. Ma credo che sia qualcosa che possa interessarvi.
[FINE
PREAMBOLO]
Aurelio
Voltaire è un musicista e cantautore cubano di dark cabaret.
Sì,
sono una fan. Lo seguo dai tempi di perle come “Death death devil devil evil evil song” e amo moltissimo il suo
stile almeno quanto il suo senso dell’umorismo.
Seguo
la sua pagina di facebook, e qualche settimana fa sono incappata in questo. Il
cantante ha pubblicato un video che comprende non solo un video musicale
realizzato in collaborazione con l’associazione RTSI - Rätten till sin identitet -che lotta contro le
discriminazioni- ma anche un discorso di introduzione in cui lui stesso racconta
la sua esperienza personale con la discriminazione e il bullismo in
giovanissima età.
Il
video parla sostanzialmente di questo. Trovo che metterci la faccia e
raccontare nei dettagli le proprie brutte esperienze passate sia qualcosa di
molto potente.
Anche
perché non racconta solo della caduta e degli anni difficili, ma anche, e
soprattutto, della risalita.
Non è male che qualcuno ci ricordi che è possibile risalire.
Il suo
discorso non ha i sottotitoli, quindi ho pensato di fare qualcosa di gradito
per i non anglofoni, e di tradurlo qui per voi.
“Salve,
il mio nome è Aurelio Voltaire e sono il compositore della canzone “Innocent”.
Il mio
repertorio musicale è composto da murder
ballads, canzoni ridicole su Star Trek e Star Wars, canzoni che parlano di
non morti, signore della notte, vampiri, lupi mannari... insomma, un repertorio
piuttosto sciocco... Ma c’è un certo numero di canzoni molto più serie. Qualche
volta, dopo un concerto, capita che qualcuno venga da me e mi dica che una
delle mie canzoni lo ha aiutato a superare un periodo molto cupo della sua
vita. E so che di solito si tratta di Feathery
Wings, oppure Sacrifice. O Innocent. E molto spesso è proprio Innocent.
Ora...
quel che rispondo a queste persone è che non sono sorpreso. So che suona molto
arrogante, ma la ragione per cui non mi sorprende è perché queste canzoni le
ho scritte per aiutare il me stesso di allora ad affrontare proprio le stesse cose che state affrontando voi. Per questo dico che queste canzoni sono state testate
sul campo di battaglia. Perché sono state scritte con il preciso intento di
guarire, dopo aver affrontato difficoltà del genere.
Innocent parla di bullismo. Il
che, sfortunatamente, è un argomento che conosco molto bene.
La mia
famiglia si trasferì in America da Cuba quando ero bambino, e ci stabilimmo nel
nord del New Jersey. La mia scuola elementare era frequentata soprattutto da
gente di colore e ispanici, così pensai che mi sarei amalgamato perfettamente,
essendo cubano. Ma mi sbagliavo. Ero l’unico che avesse la pelle chiara, e
questo faceva di me il “bambino bianco”. Venivo bullizzato e preso in giro per
il fatto di essere bianco... e quando dico “bullizzato” non intendo in modo
leggero: venivo insultato, venivo picchiato molto spesso, e, sì, era abbastanza
terribile. Era qualcosa di molto duro da affrontare, prima alle elementari, poi
in prima e seconda media... ero ancora così giovane.
Quando stavo
ancora frequentando le medie cambiammo casa, e ci spostammo nella suburbia. Mentre
ci dirigevamo in macchina verso la nostra nuova cittadina vidi gli alberi e
l’erba per la prima volta, e vidi gente bianca camminare per le strade portando
i cani a passeggio, e –ed è tutto vero!- mi voltai verso mia sorella ed
esclamai: “Andremo a vivere con i bianchi!”
Ero
così emozionato! Avremmo finalmente vissuto con la “nostra gente” e questo
significava che non sarei più stato bullizzato.
Il
primo giorno di scuola fecero l’appello. Chiamarono “Winesteen!” e una mano si
alzò, “O’Malley!” e un’altra mano si alzò, quindi chiamarono “Hernandez!” –che
è il mio cognome- e io alzai la mano.
Tutta
la classe si voltò a guardarmi.
Quindi,
uno dei bambini sussurrò: “He’s a Spick!”
-che è un termine denigratorio per definire gli ispanici e latinoamericani... -
e da quel giorno in poi non fui più il “bambino bianco”. Ora ero il bambino
ispanico, e venni bullizzato ogni singolo giorno per essere “quello ispanico”.
Ma,
fortunatamente, con un po’ di tempo arrivarono a conoscermi meglio come
persona, e... scoprirono che c’erano un mucchio di ragioni migliori per
odiarmi.
Vedete,
a tutti gli altri ragazzi piacevano gli sport, a me invece no. E questo mi
rendeva un frocio, a quanto dicevano loro.
Realizzavo
filmati in stop motion nella mia cantina, perché adoravo Ray Harryhausen e
volevo essere come lui: credevo che la cosa mi rendesse un regista, ma a quanto
pare anche quello mi rendeva un frocio.
E
durante la ricreazione, mentre i ragazzi giocavano a palla, io ero quello che
si portava in cortile un grosso blocco per gli schizzi e disegnava scene tratte
da Star Trek e Star Wars: trovavo che quello mi rendesse un artista, e la cosa mi
rendeva davvero felice. Ma la definizione che gli altri trovavano per quel
genere di passatempo era, ancora una volta, frocio.
Venivo
bullizzato senza sosta, e ancora una volta purtroppo non intendo dire che si
limitavano ad insultarmi: intendo dire che c’erano regolarmente gang di ragazzi
che mi aspettavano dopo scuola e mi davano la caccia. E io non ero un grande
corridore, perciò di solito riuscivano a beccarmi e –senza mezzi termini- a
pestarmi.
Sfortunatamente,
la mia vita in famiglia non andava molto meglio.
Sono
cresciuto in una famiglia cubana con un regime molto severo. Avevo un patrigno
convinto che praticamente qualsiasi cosa fosse una minaccia di omosessualità,
era terrorizzato dalla possibilità che qualsiasi cosa potesse essere “troppo
gay”- come se fosse la cosa peggiore che possa accadere ad una persona... – Perciò
condivideva l’opinione comune dei ragazzi della mia scuola: che il mio
interesse per le animazioni in stop-motion mi rendesse [accento spagnolo] “un homosexual!” e anche disegnare
personaggi da Star Trek e Star Wars mi rendesse “un homosexual!”.
Perciò,
anche la vita a casa era piuttosto terrificante. E immaginatevi, non appena
scoprii lo stile e la musica goth e new wave, e volli farmi un orecchino e
tingermi i capelli, questo agli occhi di tutti dovette fare di me un perfetto esempio
di omosessuale spudorato.
Insomma,
avevo un sacco di problemi a scuola, e un sacco di problemi a casa.
E,
giusto per peggiorare ancora le cose, c’era un uomo, un pervertito amico di
famiglia, che cominciò ad interessarsi a me. Quindi, come se non bastasse, subii
anche molestie sessuali.
Fu un
periodo abbastanza terribile. Un periodo terribile con un sacco di cose orrende
da sopportare.
Quando
avevo sedici anni, l’amore della mia vita decise di uccidersi. Aveva solo un
anno più di me: diciassette anni, e si tolse la vita. Pensai che, probabilmente,
in realtà lei non fosse mai stata adatta per questo mondo. Pensai che il mondo
fosse pieno di gente crudele, orrenda e terribile.
Quello
non era mai stato posto per lei, e non lo era nemmeno per me.
Forse
stavo davvero cominciando a pensare di seguire il consiglio di tutte le persone
della mia città, quelli che mi dicevano: “Non piaci a nessuno, dovresti
ammazzarti.” Cominciai a pensare, in modo molto razionale: “Credo proprio che
abbiano ragione. Credo proprio che questo non sia posto per me, credo che
dovrei uccidermi.”
E così,
decisi che lo avrei fatto. Andai a dormire e decisi che il giorno seguente mi
sarei tolto la vita. Mi svegliai... E fu allora che ebbi un’idea. Pensai: “Ho
intenzione di farlo sul serio, alla fine, ma... Solo per un giorno, solo per
esperimento, farò e dirò esattamente tutto quello che voglio fare e dire. Mi
difenderò e non permetterò a me stesso di venire bullizzato un’altra volta.”
Così
andai a scuola e ad un tratto venni circondato dai giocatori di football,
chiaramente intenzionati a divertirsi un po’ con me. E dissi esattamente ciò
che pensavo di tutti loro, per una volta reagii dritto in faccia a loro: perché
sapevo che quello stesso giorno sarei morto, e perciò nulla di quel che
potevano farmi sarebbe stato peggio.
E fu un
vero shock per me quando... semplicemente mi voltarono le spalle e se ne
andarono.
Avevo
dei problemi con un’insegnante, e quel giorno le dissi esattamente tutto quello
che pensavo di lei. Quando tornai a casa discussi con i miei genitori, e dissi
tutto quel che pensavo anche di loro.
Quello
sì che fu un giorno particolarmente glorioso. Alla sera me ne tornai nella mia
piccola stanzetta inquietante nel sottoscala, ed ero sul punto di compiere ciò
che mi ero ripromesso di fare, quando pensai: “Wow. Che gran giornata. Ok ok,
non mi sto tirando indietro, mi ucciderò sul serio, ma... Solo un altro giorno.
Solo un altro giorno come oggi.”
Questo
accadde trentadue anni fa.
E la
ragione per cui sono vivo, oggi, è che ho vissuto la mia vita in quel modo ogni
giorno, per trentadue anni. Sono stato il primo difensore di me stesso, mi sono
rifiutato di venire bullizzato ancora, poiché non c’è nulla che un bullo possa
farvi che sia peggio di vivere nella paura. Onestamente, preferirei rompermi un
braccio piuttosto che vivere nella paura ancora una volta.
Di
conseguenza, un giorno me ne andai di casa. Me ne andai a Manhattan, dove mi
trovai circondato da gente che la pensava come me. Ero circondato da altre
persone che amavano l’arte, la musica, la cultura goth e new wave, e tutte le
cose che avevo sempre amato.
Giusto
il mio primissimo giorno a Manhattan – letteralmente, dal primo istante in cui
i miei stivali a punta con le borchie a forma di teschio toccarono il suolo di
Manhattan – tutto cambiò.
C’erano
persone che mi fermavano e dicevano: “Hai uno stile fantastico, ti piacerebbe
recitare nel mio film? Aspetta un attimo, hai detto che realizzi filmati in
stop-motion? Ma è meraviglioso!”
Tutto
ciò che mi rendeva un paria sociale, apparentemente meritevole di morte, nel
paesino in cui ero cresciuto, mi rendeva una persona affascinante a New York.
Le persone mi apprezzavano per chi ero veramente, e fu solo allora che realizzai che non c’era niente di sbagliato in me. C’era qualcosa di davvero sbagliato, invece, in tutta quella gente dalle vedute ristrette in quella piccola città.
Le persone mi apprezzavano per chi ero veramente, e fu solo allora che realizzai che non c’era niente di sbagliato in me. C’era qualcosa di davvero sbagliato, invece, in tutta quella gente dalle vedute ristrette in quella piccola città.
Ora...
Quando ero ragazzino, mi sarebbe stato di grande aiuto ascoltare una canzone
come Innocent. Sento che c’è ancora tanto
dolore dentro di me quando ripenso a quei tempi, alla mia infanzia e a tutto
quel che ho passato, e così ho scritto Innocent
innanzitutto per me stesso: per il me stesso più giovane, per così dire.
Così mi
auguro che, se qualcuno di voi sta passando qualcuna delle brutte esperienze
che ho passato io, questa canzone possa aiutarvi. E, più importante di tutto,
spero che seguiate il mio consiglio: rispettate voi stessi, credete in voi
stessi, difendete voi stessi, e dichiarate: “Non permetterò che mi maltrattino.”
Se
state subendo delle violenze, ditelo ai vostri genitori. Ditelo ad un
insegnante. Chiamate la polizia. Fate tutto quello che dovete fare per
coinvolgere una figura dotata di autorità, perché il bullismo è qualcosa di
assolutamente inaccettabile. Non ve lo meritate. Credetemi.
Grazie
per avermi ascoltato, e spero che vi godiate la canzone.”
Bellissimo post. Per esperienza personale è molto difficile reagire perché vivi nel dubbio è nella paura, ma ti cambia la vita
RispondiElimina